Telemedicina e COVID-19, l’occasione persa dell’Italia

Il professor Stefano Omboni: “Questa epidemia ci insegna che non dobbiamo più indugiare, dobbiamo attuare pienamente una transizione verso un modello di assistenza più moderno”

L’Emergenza sanitaria dovuta all’epidemia di COVID-19, in Italia ha fatto emergere una preoccupante impreparazione nella gestione dei pazienti con blocco delle malattie croniche a causa di una non adeguata diffusione su larga scala di soluzioni di telemedicina. A fare emergere più di molti altri addetti ai lavori questo problema è il professor Stefano Omboni, direttore dell’Istituto Italiano di Telemedicina nonché ricercatore capo presso la Sechenov First Moscow State Medical. Omboni ha espresso la sua tesi in un interessante articolo pubblicato sulla rivista americana Telemedicine and e-Health, edita da Mary Ann Liebert, un importante editore indipendente noto in tutto il mondo per la sua presenza e la creazione di autorevoli riviste, libri e pubblicazioni specializzate in settori all’avanguardia come la biotecnologia e la medicina rigenerativa, la ricerca biomedica, la medicina e la chirurgia, la ricerca in sanità pubblica e in politiche sanitarie, la tecnologia e l’ingegneria, il diritto e la politica, la ricerca e la politica ambientale e altre discipline specializzate.

“L’epidemia COVID-19 – scrive Omboni – ha colpito in modo drammatico l’Italia alla fine di gennaio 2020. Il paese ha attualmente pagato un pesante tributo di più di 181mila infetti e 24mila decessi. Complessivamente, il 97 per cento dei decessi ha presentato almeno una comorbilità. Il sistema fatica a sostenere l’ondata di pazienti COVID-19 a causa della carenza di personale, dispositivi e letti di unità di terapia intensiva. Nell’attuale emergenza sanitaria pubblica, in cui le infrastrutture digitali rimangono intatte e i medici possono ancora essere in contatto con i pazienti, la telemedicina è fiorente e sta emergendo in tutto il mondo come risorsa indispensabile per migliorare la sorveglianza dei pazienti, contenere la diffusione della malattia, favorire l’identificazione precoce e una pronta gestione delle persone infette e garantire la continuità delle cure dei pazienti vulnerabili con patologie croniche multiple. In questo frangente, i consumatori italiani hanno notevolmente aumentato l’accesso ai contenuti sanitari su Internet, alla ricerca di servizi medici qualificati e certificati. Sfortunatamente, finora, l’Italia si è trovata impreparata per un moderno approccio digitale alla gestione dell’epidemia”.

Omboni evidenzia come il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione e il Ministero della salute si siano mossi in tal senso troppo tardi, soltanto due mesi dopo l’inizio dell’epidemia, lanciando una “open call” di tre giorni alle parti interessate nella telemedicina per raccogliere informazioni sulle attuali soluzioni digitali (app e chatbot) disponibili sul mercato, da utilizzare per il monitoraggio tempestivo di pazienti con COVID-19 o altre patologie.

“Al momento – rivela il direttore dell’Istituto Italiano di Telemedicina – l’unico risultato di questa chiamata è l’implementazione annunciata di un’app per smartphone da utilizzare per la traccia dei contatti (peraltro non ancora operativa ndr). Tuttavia, non sono stati presi in considerazione servizi di telemedicina su larga scala per il monitoraggio dello stato di salute dei pazienti acuti e cronici e per consentire la continuità delle cure. Purtroppo, negli ultimi anni, le autorità sanitarie hanno ignorato le richieste di molti esperti e professionisti sanitari per un’attuazione e un’integrazione efficienti dei servizi di telemedicina nel sistema sanitario nazionale. Dopo il rilascio di specifiche linee guida per la telemedicina nel 2012 e di un sondaggio online gestito ai sistemi sanitari regionali locali nel 2019, non è ancora disponibile un’immagine dello stato, sebbene si abbia la sensazione che esistano soluzioni. Tuttavia, sono sparsi e non interconnessi”.

Il professor Stefano Omboni nella sua dettagliata pubblicazione, mette in luce quanto fatto negli ultimi vent’anni dal suo Istituto. “Un fornitore privato (Tholomeus®, ndr) – informa – ha acquisito un’esperienza coerente nello sviluppo e nella gestione di soluzioni di telemonitoraggio e teleassistenza per pazienti con malattie croniche, che hanno servito con successo 140mila pazienti seguiti da più di mille farmacie comunitarie e più di 250 medici di famiglia, distribuito omogeneamente in tutta Italia. Abbiamo fornito prove cliniche dell’efficacia del nostro modello di assistenza sanitaria in alcune pubblicazioni. Prima dell’inizio dell’epidemia, ogni giorno fornivamo centinaia di referti e consultazioni mediche. Un tale approccio decentralizzato sarebbe stato dirompente in un momento di emergenza quando gli ospedali sono quasi completamente convertiti in gestione COVID-19, e quindi, devono annullare o ritardare l’assistenza necessaria ai pazienti con patologie croniche multiple. Inaspettatamente, durante l’epidemia, il numero di test e consultazioni è calato drasticamente. Ciò si è verificato a causa della comunicazione confusa delle autorità sanitarie con i farmacisti e i medici di medicina generale sul loro ruolo e doveri, ma anche a causa della mancanza di adeguati dispositivi di protezione individuali e spazi predisposti per gestire questi pazienti in sicurezza.  Al contrario, come previsto in una situazione di blocco, abbiamo visto un marcato aumento nell’uso del nostro servizio di telemonitoraggio domiciliare per controllare più parametri vitali o non. In questo periodo abbiamo servito più di 6.000 soggetti e aiutato a monitorare più di 12 mila dati individuali durante l’attuale epidemia. Circa la metà dei pazienti con una condizione cronica ha necessitato di un aggiustamento del trattamento perché i loro valori non erano target”.

Ma perché l’Italia non è stata capace di sfruttare questa incredibile opportunità di creare un’infrastruttura per fornire assistenza utilizzando la telemedicina e consentire il passaggio a un sistema sanitario più moderno ed efficiente?

“Innanzitutto – spiega Omboni -, l’eterogeneità delle soluzioni disponibili, spesso incapaci di scambiare tra loro i dati dei pazienti, ostacola l’integrazione dei sistemi disponibili con il fascicolo sanitario elettronico del sistema sanitario nazionale. La conseguente ridondanza di dati e la mancanza di un archivio comune per tutte le informazioni dei pazienti sono responsabili di un aumento dei costi sanitari e della scarsa efficienza delle cure, il che rende oggigiorno inapplicabile su larga scala il modello di telemedicina. In secondo luogo, nella maggior parte dei casi, esiste una scarsa interconnessione tra i servizi di telemedicina che operano a livelli più alti (strutture di assistenza secondaria o terziaria) e quelli impiegati in cliniche di assistenza primaria o farmacie territoriali. La mancanza di un vero approccio multilivello e multidisciplinare alle condizioni del paziente, secondo un moderno concetto di medicina personalizzata centrata sul paziente, impedisce di ottenere il massimo beneficio da queste soluzioni digitali. In terzo luogo, molti servizi di telemedicina finanziati dalle istituzioni governative locali o centrali mancano di prove cliniche ed economiche raccolte secondo adeguati protocolli di valutazione scientifica. Questo aspetto critico rende l’implementazione di questi servizi imperfetta e inefficiente poiché devono essere sintonizzati e ottimizzati ‘on the road’ quando, in effetti, ci si aspetta che funzionino immediatamente ed efficacemente. Questo è il risultato di non implementare regole adeguate per i processi di sviluppo software e hardware, la validazione clinica e la certificazione delle soluzioni. In quarto luogo, l’implementazione di soluzioni di telemedicina è spesso ostacolata da pesanti norme sulla privacy e dalla mancanza di raccomandazioni pratiche. Infine, i servizi di telemedicina non sono ancora inclusi nei livelli essenziali di assistenza concessi a tutti i cittadini italiani all’interno del sistema sanitario pubblico. Poiché l’utilizzo di questi servizi – continua Omboni – si basa sul pagamento diretto da parte dei pazienti e non sono mutuabili, essi sono generalmente respinti da pazienti e medici. Questa epidemia di COVID-19 ci insegna che non dobbiamo più indugiare. Dobbiamo attuare pienamente una transizione verso un modello di assistenza più moderno, che deve obbligatoriamente prevedere la piena integrazione dei servizi e delle soluzioni di telemedicina nell’armamentario dei servizi di assistenza sanitaria. La telemedicina non deve più essere considerata come una possibile opzione o componente aggiuntivo per reagire a un’emergenza. Piuttosto dovrebbe essere considerato come un approccio proattivo per garantire la continuità delle cure ai pazienti affetti da malattie croniche, per le quali l’assistenza non può essere posticipata durante le emergenze nazionali”.

Grazie alla collaborazione tra medici e tecnici dell’azienda Biotechmed e dell’Istituto Italiano di Telemedicina, è stato messo a disposizione dell’utenza, in questo periodo di emergenza nazionale, uno speciale servizio di telemedicina di Tholomeus®. Si tratta di una App della salute in grado di fornire informazioni utili sulle più comuni patologie e su come affrontarle, un vero e proprio telemonitoraggio da effettuare a casa o presso una struttura medica convenzionata con Tholomeus® che consente al medico curante di ricevere in tempo reale la misurazione effettuata dal proprio paziente. Il servizio (certificato dal Ministero della Salute come dispositivo medico con il marchio CE), offerto anche grazie al sostegno delle farmacie presenti sul territorio, si rivolge soprattutto alle persone che presentano malattie croniche più comuni come quelle cardiovascolari, polmonari e metaboliche, a cui vengono prescritte con più frequenza esami diagnostici.

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Pubblicazione originale

Omboni S. Telemedicine During The COVID-19 in Italy: A Missed Opportunity? Telemed J E Health. 2020 Apr 22.

https://www.liebertpub.com/doi/10.1089/tmj.2020.0106

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